28 Marzo 2020 Marzo 2020 29

Garavini*,
Medico chirurgo,
Specialista
in chirurgia
d’urgenza,
Esperto
omeopatia
unicista psorica
hahnemanniana
RIVISTA NATURA DOCET MARZO 2020
Aterosclerosi:
i fattori di rischio
Nuovi paradigmi
i fattori di rischio dell’aterosclerosi
sono noti: fumo, ipertensione,
iperinsulinemia obesità, dislipidemia
e iperomocisteinemia,
abuso di alcool, vita sedentaria, carenza di vitamina
D e K. Col passare degli anni si è visto che
le malattie infettive giocano un ruolo importante
a mio avviso dominante, nello sviluppo della
aterosclerosi: si tratta di stimoli infiammatori
cronici legati a molti agenti patogeni: EBV
(Epstein Barr virus), CMV o Citomegalovirus,
Chlamydia pneumoniae e tutto il gruppo dei
virus erpetici; meglio ricercare tali agenti patogeni
con una metodica nuova il Western-blot
che fornisce molte indicazioni sulla gravità o
meno di questi processi infiammatori cronici.
I batteri sono “avidi di colesterolo”, specie del
colesterolo HDL, quello considerato “buono”
(il colesterolo LDL viene volgarmente detto il
colesterolo cattivo); i batteri utilizzano l’HDL
per la loro persistenza all’interno delle cellule
infettate e in tal modo diminuiscono in maniera
significativa il livello plasmatico di HDL: un
HDL basso indica la presenza di una infiammazione
cronica in atto.
Le membrane dei batteri sono avide di colesterolo
e per entrare dentro la cellula ospite
passano attraverso la membrana di tale cellula
ospite: ogni membrana è molto ricca di colesterolo
e i batteri si nutrono di tale colesterolo.
Un evento importante nello sviluppo della aterosclerosi
è la cosiddetta “caramellizzazione”
delle proteine: si tratta di un processo frequente
nel nostro organismo, certamente dannoso, che
diventa pericoloso solo se interessa molte strutture:
si tratta della formazione di un legame tra
uno zucchero e una proteina come l’emoglobina,
l’albumina, il collagene; tale legame prende
il nome di caramellizzazione. In cucina il caramello
si ottiene scaldando lo zucchero da tavola,
il saccarosio, a temperatura elevata: l’acqua
evapora, il saccarosio si dissocia in due zuccheri
semplici, ovvero glucosio e fruttosio e ne
segue una preparazione dolce che serve a decorare
una torta. Gli inglesi hanno introdotto un
termine AGE, acronimo di Advance Glycation
End-product, tradotto prodotti finali derivati
dalla glicazione avanzata, in riferimento alla
glicazione delle proteine del nostro organismo:
il fumo e l’uso di cibi cotti ad alte temperature,
anche noti come cibi combusti, aumentano
la formazione di tali AGE (ricordo che anche
da piccolo dicevano che mangiare cibi bruciati,
come il pane scaldato al forno o la carne bruciata
alla griglia, fa male…).
Quindi quando la glicemia è alta, oppure
persiste da molto tempo, i processi di caramellizzazione
si estendono a tantissime proteine:
colpiscono proteine strutturali come quelle
del tessuto connettivo, come il collagene, che
rappresentano l’impalcatura, il sostegno e le
cellule cutanee: ne consegue una pelle meno
tonica, debole, retratta, avvizzita. Invecchia
non solo la pelle ma tutto l’organismo, e questo
determina rigidità diffusa e stanchezza cronica;
l’unione di una proteina con uno zucchero
va considerata un processo fisiologico, ovvero
ben sopportato dall’organismo, ma diviene patologico,
dannoso, se si diffonde a tante strutture:
le proteine danneggiate da questi zuccheri
diventano poi deboli, non svolgono adeguatamente
il loro lavoro, e in più vengono attaccate,
a volte distrutte dai radicali liberi dell’ossigeno,
sostanze tossiche che aggrediscono strutture
quando divenute deboli, in tal caso per
colpa di uno zucchero “cattivo”, che si è unito
ad una proteina “buona”. Ciò giustifica la crescita
continua dell’uso di farmaci antiossidanti,
come vitamine e altri, che cercano di bloccare
l’azione distruttrice dei radicali liberi dell’ossigeno
sulle proteine danneggiate dal legame con
uno zucchero.
Gli antiossidanti cercano di contrastare l’attacco
dei radicali liberi, sostanze molto dannose,
nei confronti delle proteine, indebolite
da un legame con uno zucchero: la “caramellizzazione”
di cui si è detto. Diviene quindi
utile cercare tali proteine “piene di zuccheri”
ma il laboratorio fornisce solo il dato relativo
alla emoglobina glicata, analisi che i medici
richiedono nei soli pazienti diabetici, ma che
io suggerisco di praticare in tutti gli individui.
Sono le infiammazioni croniche le maggiori
colpevoli di questi danni alle proteine e in generale
delle malattie più importanti: le malattie
croniche autoimmuni. Il termine cronico sta ad
indicare non solo che si tratta di una malattia
presente da tanto tempo, ma che è scatenata
da tante cause: non è possibile stabilire se una
causa sia più importante di un’altra: la medicina
dei sistemi complessi ci dice che tutto è
caos, confusione. Caos non significa disordine:
un evento caotico è difficile da interpretare solo
perché fatto di tanti piccoli eventi, tutti molto
semplici, banali, facili da comprendere. La
confusione, il caos, l’imprevedibilità, derivano
dal fatto che questi fenomeni sono troppo numerosi.
Alla fine del secolo XIX la Scienza, nel
campo della Fisica e della Chimica, conobbe
un grandissimo sviluppo: vennero chiariti tantissimi
concetti al punto tale che si pensò che
nel giro di pochi anni sarebbe stato risolto ogni
dubbio; poi a metà del ‘900 gli scienziati introdussero
termini come caos, confusione, disordine,
imprevedibilità. Il Chimico e Fisico russo
Ilya Romanovic Prigogine (Илья Романович
Ilya
Prigogine
Пригожин (1917-2003), Premio Nobel per la
Chimica 1977, dimostrò scientificamente che
alcune perturbazioni che scatenavano in apparenza
eventi caotici, in realtà davano origine a
situazioni stabili: ciò che veniva considerato un
disordine in realtà conduceva ad un ordine. Un
fenomeno come l’aterosclerosi è legato a tanti
eventi proprio perché si tratta di un fenomeno
complesso, caotico, non regolare.
L’esempio che faccio ai miei pazienti è
quello del bicchiere: ogni malattia è come una
goccia d’acqua che un poco alla volta riempie
il bicchiere; la malattia compare solo quando
l’acqua esce dal bicchiere; un paziente con bicchiere
quasi vuoto sta bene come un paziente
col bicchiere quasi pieno: ci sono alcune differenze,
ma poche; il paziente si ricorda solo
delle ultime gocce che hanno fatto traboccare
l’acqua dal bicchiere e tende quindi a sottolineare
gli ultimi disturbi: ma tutta l’acqua, ovvero
tutte le malattie che hanno riempito il bicchiere
sono importanti e sono mischiate fra di loro.
Questo costituisce l’elemento caotico della malattia,
che rende complicato il quadro clinico:
da qui l’abilità del medico nello scegliere le
cure migliori.
*lucagaravini27@ gmail.com
www.omeopatiaunicista.it